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Titre | De’ veri precetti della pittura |
Auteurs | Armenini, Giovanni Battista |
Date de rédaction | |
Date de publication originale | 1587 |
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, « De i diversi modi del colorire a olio tratti da i più eccellenti pittori ; qual fu lo inventor di esso […] (numéro II, 9) , p. 141
Or ci resta che noi trattiamo distintamente del colorire a oglio, del quale per esser (come si disse) il più perfetto per cagion de l’esprimer meglio ogni suo concetto, perciò egli merita che se ne tratti più diffusamente de gli altri. Ci affermano molti che di questo ne fu inventore un certo Giovanni da Bruggia fiandrese ; si stima che appresso de gli antichi non ci fusse mai questo modo, ancorché alcuni dicono che Apelle usasse nel fine delle opere sue un liquor come vernice, col quale egli ravivava tutti i colori, ricoprendoli col più e col meno, secondo che di quelli egli vedeva esserli di bisogno. Questo si costuma et usasi tuttavia in legno, in tela et in muro.
Dans :Apelle, atramentum(Lien)
, « Di quale virtù, vita e costumi deve essere ornato un pittore eccellente, con gli esempi cavati dalle vite de’ miglior pittori e più celebri che mai siano stati, così antichi come moderni » (numéro III, 15) , p. 234
Ma ritornando a dir d’Apelle, io dico ch’egli non doveva di certo essere eccellente solo nell’arte della pittura, ma in molte cose ancora; ond’io sono astretto a dir di lui sopra d’un suo meraviglioso aviso, ch’ebbe con certi altri pittori quando, dipingendo a prova un cavallo e temendo del giudicio de gli uomini et entrato in sospetto del favor de’ giudici verso i suoi aversarii, chiese che se ne stesse al giudicio de’ cavalli vivi, i quali, essendo menati attorno i ritratti di ciascuno, annitrirono a quel d’Apelle solamente, il qual giudizio fu stimato esser verissimo.
Dans :Apelle, le Cheval(Lien)
, « Di quale virtù, vita e costumi deve essere ornato un pittore eccellente, con gli essempi cavati dalle vite de’ miglior pittori e più celebri che mai siano stati, così antichi come moderni » (numéro III, 15 ) , p. 239
Perché si raconta d’Apelle che, essendoli andato Alessandro Re a casa e ragionando con esso dell’arte men ch’onestamente, Apelle li disse: « Dite piano », mostrandoli che i fattorini che tritavano i colori si ridevano.
Dans :Apelle et Alexandre(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 48
[[4:suit Protogène et Démétrios]] Dietro a questi metter si potrebbe quel dono onoratissimo, che il Magno Alessandro fece all’eccellentissimo Apelle di quella sua bellissima giovene, il quale, la suprema bellezza di quella conoscendo e commendando tuttavia fra tante che ve n’erano, sì che mosse quel re a dirli: « Abbitela in dono, che costei ben si conviene a te, avengaché tu, meglio di me, conosca e vaglia in questa parte ». Ma non so chi lasciare in dietro, perché io temo di non vi arrecar fastidio nel dire di molti segni d’affezzione e d’infinite grandezze, le quali dimostrate si sono da diversi signori e prencipi, populi e provincie a beneficio et a favore de gli artefici nostri.
Dans :Apelle et Campaspe(Lien)
, « Che l’invenzioni non si debbono cominciare a caso, ma con maturo discorso […] Dell’utile che n’apporta il dissegnare assai a questa parte […] » (numéro I, 9) , p. 90-91
Ma d’intorno a questa parte io vi avertisco bene che abbiate per costume infallibile di far ogni giorno qualche dissegno, acciò che con più facilità poi si esprimano le cose, che tuttavia si sono da voi imaginate e che così ancora si adempia quel detto di Apelle che « dies non transeat sine linea », il qual detto non s’intende di fare un segno solo, nel modo che molti schiocchi si credono, ma si comprende esser d’una figura overo di una bozza o schizzo di qualche istorie, perché chi non sa che colui il quale dissegna in un’ora non faccia un numero infinito di linee e molti di figure ancora ? E non perciò si terria che costui vi attenda molto.
Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)
, « Quanto sia laudabile il finir bene l’opere sue e quanto sia dispiacevole il fare all’opposito; con qual arte si rivede e si ritoccano le pitture che sono fatte a fresco, a secco et a olio, per chi vuol condurle per eccellenza finite » (numéro II, 10) , p. 150-151
E nel vero è manifesto che si trova in molte cose non esser men grata la diligenza che l’ingegno[[5:dans les dessins de Léonard de Vinci.]]. Io non dico che perciò si debba cadere in quelli estremi del non saper mai levar le mani di su l’opere che si fanno, del qual vizio ne fu biasimato Protogene da gli antichi pittori, ma si desidera bene una diligenza, che sia bastevole e non ostinata e ciò specialmente si deve in quelle cose che sono per dovere star molt’ anni al bersaglio d’ognuno, il che aviene in quelle che sono ne’ luoghi comuni e ne’ magnifici e discoperti.
Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 47
Dicono molti scrittori che Apelle, tra le sue mirabili opere, dipinse una Venere di cosí eccelente bellezza, che commosse e fece stupire tutta la Grecia. Dicono parimente che la imagine, cosí tenuta cara, dipinta da Geusi a’ Crotoniati, era tanto al vivo prossimana, che nella mente de’ più savii di quella città non era creduta altrimenti, se non quando essi la toccavano, che fosse figura di colori.
Dans :Apelle, Vénus anadyomène
(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 48
Si raconta che, avendo presentato Burlaco pittore una sua opera al Re de’ Lidi, dentro la quale mirabilmente vi era dipinto la battaglia de’ Magnetti et il re, il quale l’avea per cosa inestimabile, non sapendo egli stesso che contracambio render li dovesse, si risolse per fine a donarli tanto oro quanto era il peso di quell’opera.
Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)
, « Breve discorso sopra di alcuni generali avertimenti delle principali cagioni, per che il buon lume della pittura si smarrisca di novo e perché, ne gli antichi tempi perdendosi, rimase del tutto estinta » (numéro I, 1) , p. 34
E se cosa alcuna in questo proposito fu lasciata da gli antichi, venne ad annichillarsi et a risolversi in fumo, fuorché alcune poche pitture ritrovate in luoghi orridi et inabitabili, da noi dette grottesche e, secondo il vocabolario de gli antichi, chimere, delle quali, sí come da piccioli splendori, si tiene che i moderni pigliassero il modo e la via vera del dipingere.
Dans :Grotesques(Lien)
, « Che delle logge si imitano le pitture secondo ch’è il luogo ov’elle sono fabricate ; delle magnifiche invenzioni che gli imperatori antichi vi usavano ; quali siano le cose che vi compariscon meglio e che sono per ragion più necessarie » (numéro III, 9) , p. 204-205
E perché è bene di venire alli esempî, diremo prima delle bellezze e de gli ornamenti delle logge papali, delle quali ne fu inventore il grazioso Raffaelle d’Urbino, sì come egli fu delle sale ancora e delle miglior pitture che si trovino e sono dentro a quelle. È ben vero ch’essendo ne’ suoi tempi venuto in luce la novità delle grotesche e de’ stucchi cavati dalli antichi, per opera e per industria di Giovanni da Udine, il quale perciò trovandosi in quelle eccellentissimo, piacque a Raffaello di darli il carico di quelle, di modo che lo fece capo delle Logge del primo ordine, et ancora di quello di mezzo, tal che per man di costui si fece tutte quelle volte e quelli archi di stucco che, con stupore, si mirano da ognuno, le quali si veggono esser così ben lavorate che non invidiano l’antiche, ond’esso l’imparò; attesoché tutte queste si trovano esser piene di bellissimi ornamenti e ricinti di grotesche, con ricche e capricciose invenzioni di cose molto diverse e stravaganti.
Dans :Grotesques(Lien)
, « Onde gli antichi cavarono le grottesche chiamate da loro chimere ; et a che effetto e per quali luoghi se ne serviano ; et in che modo di novo tornorno in luce ; e come le si dovrebbono dipingere a essere conforme all’invenzioni di esse con l’esempio d’alcuni da noi trovate et imitate sotto le ruine antiche di Roma » (numéro III, 12) , p. 219-221
Io ho sempre tenuto che quella sorte di pitture, che furono dipinte da gli antichi a uso di chimere, fussero trovate solamente (per quanto vien compreso da molti, i quali sono conformi al parer mio) che fu per ornare e per dar vaghezza a molti loro luoghi, ne’ quali a loro paresse che poco altro, fuorché queste, non vi dovesse comparir meglio. E per il lor giudicio, che mirabil era in tutte le cose, essi se ne valevano in quelli, come per un non so che mezzo, il quale fosse confacevole fra lo schietto et il dipinto e fra le cose che sono piane e le rilevate; et erano di maniera perciò condotte, che le cose di scoltura non erano in modo che offender li potesse la vista per la forza del troppo rilievo; né men quelle di pittura per l’ampiezza de’ troppo colori. Dalle quali rimanevano oltre modo offesi quando non erano per eccellenza belle, e, per l’opposito, non gli erano di minor dispiacere tutte quelle mura e quelle volte ch’erano fatte di bianco, senza vedervi segno over macchia di cosa, per dove la vista scorrendo si fermi per qualche improviso diletto, e come di cose vedute a caso, il qual effetto si vede partorire dalle grottesche o chimere, che dir vogliamo. Laonde si stima che si cavassero da quelle toppe, over macchie, che si scuoprono sopra quei muri, che già erano tutti bianchi, nelle qual macchie considerandovisi sottilmente vi si rappresentano diverse fantasie, e nuove forme di cose stravaganti; le quali non è che siano così in quelle, ma si creano da sé nell’intelletto nostro, il quale, così variando in quei ghiribizzi, pare che con diletto si goda di queste forme. Par dunque che queste fossero le prime invenzioni delle chimere predette, le quali, aricchite poi con più colori, con stucchi e con oro, si condussero in cosí fatto uso e riuscirono opera cosí vaga e piacevole, che era poco più altro che si vedesse per divisamento delle stanze de gli altri luoghi comuni, per i gran palagi de’ più onorati romani, sí come se ne veggono ancora i vestigii espressi sotto a molte ruine. Conciosiaché questo modo di dipingere sia fuori d’ogni uso di regole e sia pieno d’ogni licenza, dove che a chi più bei capricci e più grate fantasie rappresentar le sapesse con colori, quello veniva riputato essere il più eccellente tra gli altri; e perciò ci sono i partimenti, i fregi et i colori cosí ben divisati che, se ben il tempo gli ha condotti in modo che apena si discerne, nondimeno da i più belli ingegni e più studiosi son tuttavia con gran stupore ammirati, ritratti e ricercati con tutte le sue forze. Quivi ci sono li stucchi, le figurine, i festoni, gli ornamenti e le mascare, le quali sono vivissime; né mi stenderò sopra i campi di essi ch’erano fatti d’oro e di colori finissimi e durabili, intanto che ancora n’apportano allegria e consolazion mirabile a i riguardanti. E colui che di novo le discoperse e mise in uso e chi meglio de gli altri in Roma le dipinse, fu Giovanni da Udine (come s’è detto altrove), il quale, come uomo d’ingegno sottile, vago e curioso della novità e delle bellezze che tuttavia si venia scoprendo al suo tempo delle cose antiche, avendo egli inteso che si cavava vicino a S. Pietro in Vincola, fra le ruine del palazzo di Tito, per trovar statue, vi andò e scoperse alcune stanze cosí dipinte con gran meraviglia d’ognuno; le quali erano al modo predetto piene di compartimenti di stucchi sottili e di pitture, con sí diverse bizzarrie et in copia tante e cosí bene intese, che tutta Roma vi concorse. Alle quali si messe intorno Giovanni con tanto amore e desiderio e le ritrasse tanto che, alla fine, le imparò di maniera che mai alcuno, dopo lui, ha potuto arrivarli di un gran pezzo, sì come ci è manifesto per le molte sue pitture et opere in tal maniera. Fu egli ancora quello, che ritrovò la vera materia dello stucco degli antichi, il qual era stato prima certato da’ più sofistichi cervelli, che fossero in Roma, per lunghissimo tempo innanzi. E certo che si può dire che per lo studio, per le fatiche e per l’ingegno di questo artefice siano state ridotte le chimere nella sua antica bellezza di prima, delle quali poi cavandosi tuttavia (come s’è detto) dalle ruine, se ne scopersero di molte in simil luoghi, i quali non più camere sono, ma grotte e caverne sotto i monti e sotto le vigne di Roma; laonde grotesche si sono perciò chiamate poi le chimere, avendo preso il nome dal luogo dove ritrovate si sono. Ma di queste si servono i pittori moderni per abellire, e per ornare varii luoghi, che sono scompartiti per i palagi e per le case, i quali conoscono che poco altro vi possa comparir meglio, i quali sono logge, studii, giardini, camere, cortili, scale, bagni, stufe, anditi et ogni sorte di vani minori insieme con gli altri predetti ornamenti, ma egli è ben vero che sono declinate molto, io dico in poco tempo, per voler compiacere a gl’ignoranti, perciò che le si dipingono crude, confuse e piene di sciocche invenzioni, per li molti campi troppo carichi di bei colori che sono fuor di misura; né punto vi si scorge cosa che sia di alcun momento, né lodevole o di qualche sugo.
Dans :Grotesques(Lien)
, « Dell’origine della pittura e della distinzione di essa in parti, con una breve diffinizione di ciascheduna » (numéro I, 5 ) , p. 57
Egli è opinione commune, giovani onorati, de gli scrittori più famosi che la pittura si trovasse da gli Egizzii e che la sua origine si sia cavata dall’ombra dell’uomo, laonde dicono che fra i primi gli fu un certo Filocle egizzio et un no so chi Cleante corinzio, e che Ardice e Telefano si tengono fra i primi, che ne facessero essercizio e ciò era con le linee o contorni che si dica, solamente. Ci sono altri poi, che si hanno creduto che si usasse inanzi al diluvio. Ma secondo Plinio fu l’inventore Gige Lidio d’Egitto, il quale dice che, essendo al fuoco e risguardando la sua ombra, tolse un carbone e contornò se stesso.
Dans :Les origines de la peinture(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 44-45
Dice Plinio che da’ Greci e da’ Romani ella fu posta nel primo grado delle arti liberali, e che fecero uno editto perpetuo, il quale vietava che né a’servi, né a persone di basso grado fosse concesso di apprenderla, né di usarla in modo alcuno, cosí essi dinotando forse che un’arte di tal qualità non era da trattarsi per le persone vili e plebei, ma per i saggi e nobili spiriti. Conciosiacosaché essi conoscessero che, cadendo questa in mano a simil genti, era agevol cosa il condursi in dispregio, sì come si è così vilmente veduta per tanti passati secoli; perciò che, se gran forza di natural disposizione non gli ha sospinti mai in altro modo, per lor brutte opere, che ad invilire questa si trovano essere stati, dove che, se sempre conservata si fosse nelle persone ben nate, mai questo errore o danno ci saria potuto avvenire, perciò che gli animi naturalmente gentili hanno in sé insito un certo che di timore d’infamia e disonore, e così acceso il desio del loro onore e gloria, che più tosto si fanno pazienti di mille fatiche, et a patire ogni sorte di necessità, che far cosa che, pubblicata, poi li riesca in biasimo.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, « Che cosa sia il dissegno, quanto egli sia universalmente necessario a gli uomini et a qualsivoglia minor arte, quantunque in speciale egli sia più destinato alla pittura » (numéro I, 4) , p. 53
Ottimo dunque quel costume fu veramente e molto laudato, che si dice ch’era nell’età di Panfilo, che fu maestro d’Apelle, conciosiaché per tutta Grecia si era disposto et ordinato per decreto publico che fra le prime cose che insegnar si dovesse a’ fanciulli nelle scuole de’ nobili, fosse il dissegno. E certo che si può comprendere che un tal ordine, passando pel giudicio di tanti savii, quanti erano in quei tempi, e’ stimassero ciò dover essere a loro giovevole e di sommo onore l’averne ben notizia i loro figliuoli.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, « Come la maggior impresa del pittore sia l’istoria » (numéro II, 11) , p. 161
E questa strada è di tal forza che, quando le figure ci si rappresenta alla vista, al primo sguardo si palesa e si conosce che rende somiglianza a quella forma per la quale è stata fatta, o benigna o modesta o crudele che ella si sia e ti fa cauto circa agli atti, alle forme et a i moti, i quali sono infiniti, con la fabrica di tutte le membra, et appresso si scuoprono quasi col fiato istesso e con lo spirito gli affetti e le passioni dell’animo con gli altri accidenti; per le quali cose alle volte il senso visivo de gli uomini resta in forse, non li parendo vedere il dipinto, ma il vivo.
Dans :Le portrait ressemblant et plus beau(Lien)
, "De'ritratti dal naturale, et dove consiste la difficultà di farli bene, et da che procede, che le più volte quelli, che hanno maggior dissegno, e che sono più celebri de gli altri, li fanno men somiglianti di quelli, che sono men perfetti di loro." (numéro III, 11)
[…] quanto più gli uomini sono stati profondi nel dissegno, essi tanto meno han saputo fare i ritratti: il che procede (per quanto io conosco) perciò che consiste tutta la difficoltà del farli che rassomigli, a dissergnarli talmente, che punto non si muti, né con linee né con colori, del proprio esser suo; il che, da quelli di mediocre ingegno con molta pazienzia si conduce con osservar tutte le variazioni delle carni e le minutezze nel modo che in quello che essi imita si scuopre. E questo è che li predetti pittori patiscono troppo male, per essere usati nelle opere loro ad esser maestrevoli, facili et ispediti; il che aviene per cagion della loro buona maniera antica, con la quale essi esprimono tuttavia ogni loro cosa e perché, per esser perfettissima fra l’altre, essi sono sforzati afatto torsi da’ termini di quel goffo e debole che nelle facce si trovano tuttavia ne’ naturali; onde, il più delle volte i ritratti, i quali son fatti per mano degli eccellenti, si trovano essere con miglior maniera e con più perfezzion dipinti che non son gli altri, ma le più volte men somiglianti. […] Ma il vero maestro in questo fare è stato Tiziano da Cadoro, il quale, per contrafare il naturale d’ogni cosa ha superato ognuno; e per essere infinite l’opere et i ritratti fatti da lui così per Italia come fuori, tra quali furono quelli di Paolo terzo Farnese col nipote in un quadro, Carlo Quinto, il signor Canino, et altri infiniti.
Dans :Le portrait ressemblant et plus beau(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 47
Conciosiaché fra i molti e grandi si pon mente a quelli che sí mirabilmente si vide nel Re Demetrio, il quale, avendo posto l’assedio alla città di Rodi e condottola in estremo pericolo con animo d’abbrugiarla, per aver risguardo a una tavola di Protogene, la quale era posta nella più debil parte di quella, non vi lasciò mettere il fuoco, ond’egli piú presto volse perder la città, che dubitar di quell’opera.
Dans :Protogène et Démétrios(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 47
Dicono parimente che la imagine, così tenuta cara, dipinta da Geusi a’ Crotoniati, era tanto al vivo prossimana, che nella mente de’più savii di quella città non era creduta altrimenti, se non quando essi la toccavano, che fosse figura di colori.
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)
, « Della schiochezza di coloro che sogliono affaticarsi prima che abbino presa maniera buona intorno a studiar le statue, il natural et i modelli; delle molto vere et utili considerazioni, che a ciò fare bisogna et a che fine le s’imitano, e come si riducono e si aiutano da i ritraenti; con quali espedite vie si fa l’uomo in quelle facile e giudizioso » (numéro II, 3) , p. 108-109
Ma quanto al modo poi di ritrarre il naturale, ancorche questo deve essere imitato per ogni parte, ed in ogni cosa, io però mi rido di coloro, che approvano ogni naturale per buono, quasi che la natura non erri intorno alle bellezze sue facendole più, e meno si come io dissi altrove, che a fatica se ne trovano ai tempi nostri, e certo è che molti vi si fondano sù talmente, che essi non curano più una cosa, che un’altra, e così schifano il porger loro aiuto con la lor maniera in modo alcuno. Laonde io dirò che se Geusi, il quale tante belle nude accolse per formarne solo una a i Crotoniati, avesse avuto a formar un uomo, io stimo che di molti piú uomini bisogno v’era, che delle donne non ebbe, perciò che altro magistero di muscoli, di nervi e di vene si scruopre in un uomo, che in una donna si vede, poiché il suo bello consiste, dopo le debite proporzioni, nello esser piene di delicate morbidezze. Fuggasi adunque così sciocca opinione, che si hanno imaginata nel capo molti e credasi che se Geusi, oltre la tanta diligenza ch’egli usò, non avesse posseduto da sé singolar maniera, non avrebbe mai accordate insieme le belle membra divise, ch’egli tolse da tante vergini né saria men stata a quella perfezzione, che di prima egli si era imaginato. Concludasi dunque che, oltre il cercar le miglior cose della natura e più perfette, si supplisca dipoi tuttavia con la maniera buona e con essa arrivar tanto oltre, quanto si può giudicar che basti, perché, accordata che sia quella col natural buono, si fa una composizione di eccellente bellezza.
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)
, « Di quale virtù, vita e costumi deve essere ornato un pittore eccellente, con gli esempi cavati dalle vite de’ miglior pittori e più celebri che mai siano stati, così antichi come moderni » (numéro III, 15) , p. 235
Egli[[5:Zeuxis.]], dovendo fare una imagine dipinta di bellezza estrema, da porsi nel tempio di Giunone dentro la città di Crotone, fece ch’ottennero nel concilio i Crotoniati che li fosse concesso liberamente di poter raccogliere e veder nude quante belle erano nella città loro; dove di quel numero ne scelse cinque a suo giudicio vergini, dalle quali tolse e rappresentò, nella sua imagine, quello ch’in ciascuna era eccellentissimo di donnesca bellezza, il che gli riuscí secondo ch’egli s’avea imaginato.
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)
, p. 239
Ma che dirò io dell’opere dell’eccellentissimo Zeusi, il quale, avendo fatto una figura d’Elena ignuda di soprema bellezza e per esser poco stimata, egli stesso la magnificò con versi composti dal suo felice ingegno? Egli non metteva fuori di sua mano che di quella non scoprisse con parole l’artificio e l’eccellenza che vi era dentro a tutte le genti, il che non è da imputarsi che lo facesse per gloria, ma perché fossero conosciute e perciò a gli uomini fossero gratissime.
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)
, « Della dignità e grandezza della pittura ; con quali ragioni e prove si dimostra esser nobilissima e di mirabile artificio ; per quali effetti cosí si tenga e di quali meriti e lode siano degni gli eccellenti pittori » (numéro I, 3) , p. 41-42
Né io so, oltre a questo, se sarà creduto vero quello che già molti francesi in Roma affermavano per vero e che era in Francia accaduto, non era gran tempo; e ciò fu che, avendo uno eccellentissimo pittor francese un dí, per suo capriccio, dipinto ad una sua villa vicino a Parigi sopra il muro una antica femina di turpissima forma, sí come si vede che aviene ad alcune per la gravezza del troppo tempo e, dettolo ad un suo carissimo amico, che desideroso era ciò veder prestamente, come quello che molto ben sapeva quanto egli in quel fare si portasse eccellentissimamente, di subito vi corse e, senza tempo, incominciò con sí smisurata attenzione a riguardar fisso in quelle difformità sí straordinarie, che, divenuto tutto immoto per il soverchio piacer dell’animo nel quale egli era, che al fin, ricopertoseli gli occhi e perduto ogni sentimento e vigore, il misero si morí.
Dans :Zeuxis mort de rire(Lien)